mercoledì 28 gennaio 2009

La percezione estetica e sentimentale delle stagioni

In un anno ci sono quattro stagioni. Ed un motivo ci sarà... A seconda della stagione in corso un paesaggio avrà una caratteristica tale che ci renderà manifesta la stessa: il paesaggio si veste a seconda della stagione, gli uomini si vestono a seconda della stagione. Proviamo a fare un esperimento. Prendiamo uno scorcio della Brianza più vera, come quello qui sopra. E proviamo ad osservarlo nelle diverse stagioni, partendo dall'inverno. Per questa prima stagione l'immagine disponibile ci aiuterà a metterci qualcosa di nostro, per le altre, almeno per il momento, bisognerà accontentarsi della descrizione che cercherò di fare.
Partiamo con l'inverno. Si poteva scegliere la neve. Ma la neve rende tutto fiabesco e non rende l'idea della Natura addormentata in attesa della primavera. Questa immagine rende la vera idea dell'inverno. Cielo velato di grigio, senza sole. Boschi marroni, senza verde. Prati non coltivati marroni quasi quanto i boschi. Prati coltivati spelacchiati con una parvenza di verde spento ed un desiderio estetico di raggiungere il marrone dei boschi. Colori sicuramente freddi, come la giornata in cui la fotografia è stata scattata.
Immaginiamoci ora la primavera. Sarà un'esplosione di verde: i boschi diventeranno smeraldini, il cielo si farà terso e blu cobalto, il prato rinverdirà e si riempirà di fiori multicolori, danzando prima del maggengo alla brezza di maggio.
Veniamo all'estate. Una foto notturna ci mostrerebbe le lucciole, una foto diurna celebrerebbe di nuovo il verde del bosco ma il prato, dopo la fienagione, tenderà al giallino, in attesa del secondo taglio. Il cielo si farà più biancastro a causa dell'afa.
Infine immaginiamoci l'autunno. Il prato si farà verde intenso quanto il bosco, che nel frattempo si tingerà di colori caldi, anticamera del marrone dell'inverno. Il cielo tornerà ad essere più azzurro oppure grigio, la bruma dalla valle cercherà di conquistare il poggio con le sue mani gelide.
E' una descrizione minimale. Torneremo a celebrare ogni stagione, nel suo Tempo, in questo stesso luogo. Ma ogni luogo ha una storia. E qui siamo in Valfredda a Montevecchia. Il nome è tutto un programma e deriva proprio da Valle Fredda. Si tratta infatti di un angolo di Brianza incontaminato e molto freddo perchè è esposto a Nord: è quindi soggetto ai venti freddi di tramontana e non può godere appieno del calore del sole. Montevecchia è nel suo piccolo un bianco ed un nero: sui versanti di mezzogiorno, clima mediterraneo e primizie baciate dal sole, in Valfredda un gelo da umida brughiera. I nostri antenati hanno avuto sicuramente più fortuna a dare i nomi alle località, perchè partivano da una tabula rasa. Ed infatti i nomi antichi sono i più sinceri, come questo, Valfredda. Qui c'era una chiesetta nella attuale cascina, ed era stata giustamente dedicata alla Madonna della Neve: un doppio richiamo al freddo...
Un ultimo ragionamento alla base di questo esperimento. Proviamo a pensare anche alle stagioni del nostro vivere e del nostro cuore: un medesimo evento può essere percepito in un modo diverso a seconda della stagione in cui si colloca. Un pò come il paesaggio. Estendiamo il nostro pensiero ad una dimensione non solo estetica e forse avremo molti esempi nella testa. E' la visione sentimentale delle stagioni. E' molto facile...
(nella mia foto di oggi: Valfredda, Montevecchia, Brianza, in abito invernale)

domenica 25 gennaio 2009

Gutta cavat lapidem

"La goccia scava la pietra". Gli antichi già avevano capito come sia la perseveranza e la pazienza la vera forza di un uomo. Troppe volte abbiamo invece la tendenza a voler vivere tutto e subito, senza avere la giusta tenacia per raggiungere un obiettivo che, se non riusciamo ad ottenerlo subito, ci sembra tanto difficile ed irraggiungibile da rinunciare. Invece il segreto è quello di avere sempre la giusta pazienza, come la goccia d'acqua che pian pianino cade sul sasso lisciandolo e scavandolo. Se per un certo periodo di tempo la goccia non cade l'erosione del sasso ovviamente non prosegue, ma non succede neanche che il sasso si riformi. Quindi, come ricompare, la goccia riprende il lavoro dove l'aveva lasciato. Negli obiettivi che ci poniamo dobbiamo essere sempre più simili alla goccia: avere la necessaria tenacia, non avere fretta, sapersi anche fermare per poi riprendere e soprattutto non demordere anche quando la salita sembra sempre più dura. Bisogna prima di tutto credere in ciò che si fa: e poi i risultati, prima o poi, arriveranno. L'obiettivo che non si riesce a raggiungere può essere in qualche modo "pre-assaporato" con la teoria leopardiana "dell'aspettazione del piacere", che può darci quella forza che magari ci manca. (nella foto qui sopra, dal sito http://www.balconisullealpi.it/: il torrente Troggia in Valsassina)

mercoledì 21 gennaio 2009

Sapere affrontare una cima

Stasera mi piace impostare i miei liberi pensieri con una metafora forse anche abusata: quella di scalare una cima. E per fare ciò mi sono messo al cospetto di una foto della mitica Grignetta. Cima arcigna e difficile.
Non possiamo affrontare una ascesa come se niente fosse. Dobbiamo prima di tutto avere una percezione di quello che è il nostro stato di forma, mettendoci in gioco oggettivamente. Una volta avuta questa percezione occorre scegliere una vetta adatta alle nostre capacità, non solo fisiche ma anche tecniche. Pensare che forse anzichè fare una via diretta è più conveniente affrontarne, ove possibile, una indiretta. Avviarci con il passo giusto, senza forzare la cadenza perchè in caso contrario in cima non ci arriveremo mai. Se ci accorgiamo che siamo in eccessiva difficoltà è meglio rinunciare e tornare indietro, anche per evitare di arrivare in cima e non avere più energia per la discesa. Una volta raggiunta la vetta tendiamo alla contemplazione di ciò che ci circonda, così che spesso ci dimentichiamo di coprirci per ripararci dal freddo e dal vento, perdendo la cognizione dell'agire. E poi magari siamo anche capaci di "catapultarci" a valle facendo tutte le scorciatoie: che è la cosa più deleteria, perchè la discesa è tecnicamente più difficile della salita e più a rischio di errore o infortunio.
Ho solo delineato alcune buone regole per affrontare una vetta nel migliore dei modi, e lascio a tutti la possibilità di confrontare la salita e discesa da una montagna con un evento della Vita quotidiana che ha delle complessità per essere risolto. Lascio solo alcuni spunti. Una situazione ingarbugliata va affrontata come la salita di una montagna: con passo fermo e deciso, senza correre, prendendo il tempo che ci serve. E i nodi si scioglieranno uno dopo l'altro come neve al sole: quasi senza accorgerci... E una volta superata la difficoltà della conquista della vetta, anche la discesa va affrontata nel migliore dei modi: non diamo mai nulla per scontato. Anche perchè normalmente ci accorgiamo che non ci siamo comportati nel migliore dei modi solo quando ci succede qualcosa. E dopo è facile ragionare con i "se"...
(nella mia foto di stasera: Sua Maestà la Grignetta dai Piani Resinelli)

martedì 20 gennaio 2009

Vivere senza nè luogo nè tempo

A volte si vorrebbe cercare la perfezione del poter vivere senza nè luogo nè tempo. In uno stato di perfezione che non porta con sè il peso del quotidiano e che pensa solo all'ottimo. Quante volte nella nostra Vita ci è venuta la voglia di staccare completamente da ciò che facciamo quotidianamente, per vivere intensamente una emozione fuggente da catturare e perpetrare nel tempo?
Il quotidiano ci costringe sempre più a ritmi esasperanti e non abbiamo mai il tempo di fermarci. Non solo a meditare, ma anche a vivere il bello che magari ci viene offerto dalla Vita, nella pienezza che si merita. Tante volte non sappiamo cogliere l'attimo fuggente e dargli il giusto peso. Il quotidiano ci distrae da ciò che è più importante, che è l'Essenza della Vita. Saper percepire l'Essenza dovrebbe educarci ad un animo più gentile, da riverberare anche nel quotidiano in vari gesti magari inconsueti: una parola giusta, una pacca sulla spalla, un sorriso, uno sguardo stupito, un silenzio opportuno. Non sappiamo più ascoltare: prima di tutto noi stessi, ma anche tutti quelli che ci parlano. Forse cercare questa dimensione ci può aiutare a vivere meglio il quotidiano: per noi stessi e per coloro che ci circondano. Io ci voglio provare...
(nella mia foto di oggi: il cielo al tramonto, da un aereo in volo, senza nè luogo nè tempo)

domenica 18 gennaio 2009

Voglia di primavera. Nel cuore dell'inverno.

Ho voglia di primavera. Nel cuore dell'inverno. Ho voglia di vedere la Natura riprendersi i suoi colori, ho voglia che la bruma lasci la mia valle, ho voglia che i boschi si vestano di smeraldo, ho voglia che la temperatura si addolcisca, ho voglia che la luce riconquisti spazio alla notte, ho voglia di sentire il profumo dei fiori multicolori, ho voglia di vedere i prati pettinati dalla brezza e pieni di fiori, ho voglia di vedere spuntare il grano dalla neve, ho voglia di assistere al dolce spettacolo dei ciliegi in fiore, ho voglia di vedere tornare la Vita ad animare i tralci del mio vigneto, ho voglia di giornate tiepide e di tramonti freschi, ho voglia di rivedere volteggiare le rondini nel cielo. Come cantava Luca Carboni: "E' primavera e mi prende un bisogno di leggerezza e di pesanti passioni e un sentimento indefinibile al tramonto...". Alla primavera manca ancora un pò di tempo. E non solo alla primavera della Natura, ma anche per la primavera del mio Animo. Il mio Essere si sta addolcendo e la linfa vitale torna a scorrere nelle mie vene. Ma la primavera non è poi così lontana...
(nella mia foto di oggi: prato fiorito a Belvedere di Cereda, Perego)

mercoledì 14 gennaio 2009

Di candore in candore...


Il confronto è simile nei colori ma ardito nei contenuti. La stagione è l'opposta, sia in termini oggettivi che personali: eppure è un modo per andare di candore in candore. Qualche giorno fa ho aperto un mio post con una immagine delle cime innevate al Passo del Foscagno: una distesa bianca che si contrapponeva al cielo azzurro, mentre la temperatura sfiorava i 15° sotto lo zero. Stasera la apro con una immagine del faro di Lampedusa: una casa ed una torre bianca che si contrappongono al cielo azzurro, mentre la temperatura sfiorava i 35°. L'inverno contrapposto all'estate. La montagna contrapposta al mare. Il mio essere di oggi, malinconico, che si fa domande e medita (-15), contrapposto al mio essere gioioso, che viveva uno dei momenti più belli della sua Vita (+35). Eppure al di là del soggetto e della stagione la contrapposizione tra il bianco e l'azzurro è la medesima in entrambe le immagini. E c'è una sorta di filo rosso che unisce le due immagini: quello del candore che le pervade: sono un passaggio di candore in candore...
E' forse ardito, nel cuore dell'inverno, utilizzare una fotografia dell'estate. Ma le contrapposizioni che quotidianamente viviamo tra l'agire ed il meditare sono forse ancora più ardite. Ci sono momenti in cui ci si vuole fermare ma, con i freni malfunzionanti, occorre attendere che lo slancio avuto esaurisca gradualmente la sua energia cinetica facendoci fermare. Io mi sto fermando, senza usare i freni, ma lasciando riprendere all'animo il tempo della meditazione sana e necessaria. Aspettando la fine dell'inverno...
(nella mia foto di oggi: il faro di Capo Grecale a Lampedusa)

lunedì 12 gennaio 2009

"Nuove distanze ci riavvicineranno..."


"Nuove distanze ci riavvicineranno, dall'alto di un cielo diamante i nostri occhi vedrai..." (Zucchero - De Gregori, Diamante). Lo scorcio che stasera apre il mio post è qualcosa di emozionante. Come lo è la frase della canzone che ho citato. L'immagine non è mia, ma è ripresa da una webcam: si vede l'alta Brianza imbiancata all'imbrunire. Sulla sinistra il Resegone ammantato di neve, poi il Magnodeno e via via fino alla Valcava. Più vicino il monte Barro che sovrasta il lago di Oggiono; oltre si scorge il lago di Garlate e la valle dell'Adda. E poi tante luci... E' una immagine che mi ha emozionato, una immagine ripresa dal monte Cornizzolo che porta con sé l'idea delle distanze. "Nuove distanze ci riavvicineranno..." La Vita è un continuo allontanarsi e riavvicinarsi. Forse proprio quando ci si allontana da una particolare situazione o da una particolare persona ci si accorge di quanto ci manca. Purtroppo quando si vive spesso e volentieri si tende a non cogliere fino in fondo l'essenza delle cose, fermandosi alle porte che celano una maggiore comprensione e condivisione. Tutto risulta ancora più evidente, come spesso accade, quando la particolare situazione appartiene già ad una parte di noi che non è più. Bisogna fermarsi e meditare: senza paura di capire, perchè tutto ciò che non si capisce significa che non è stato vissuto fino in fondo...
(nella foto di oggi ripresa dalla webcam del Cornizzolo degli "Escursionisti Civatesi": l'alta Brianza all'imbrunire)

giovedì 8 gennaio 2009

L'aria del lago. D'inverno.

Lario, ramo lecchese (precisiamolo perchè i comaschi pensano che il Lario sia affare loro). Inverno, tra Natale e Capodanno. L'acqua è scura, immobile, più cheta che cheta. Più scura del solito, ha un pò perso lo smeraldo estivo. Come le sponde che marroni scendono a picco nel lago. La bruma la fa da padrona in questa giornata e accomuna il lago al cielo, anch'esso striato di grigio. Sullo sfondo i tre Corni di Canzo, verso meridione, si stagliano all'orizzonte.
Il Lario ha il suo fascino anche d'inverno. Camminare per le viuzze di Varenna o Bellagio in una "siretina" d'inverno, tra la bruma e le luci di Natale, ha un non so che di malinconico e emozionante. Ci sono situazioni che creano dentro di noi un continuo ossimoro: da una parte sensazioni dolci, dall'altra sensazioni amare. Bisogna saper ritrovare il Tempo anche del pensare, oltre che dell'agire. Occorre meditare su come iniziare bene questo anno nuovo: l'albero che nasce storto lo si raddrizza subito, perchè in caso contrario resterà storto anche quando crescerà. E se in una cesta di frutta c'è della frutta marcia, va tolta prima che faccia marcire la frutta sana. Del resto la frutta nasce per questo, per marcire e portare riproduzione. Il fiore è profumato per essere impollinato, ed una volta impollinato porta il frutto. Questo deve essere appetitoso all'uomo o agli animali per essere mangiato, affinchè il seme venga disseminato e porti nuova Vita. Un frutto troppo maturo tende a marcire ma anche se è marcio può ancora portare Vita: al suo interno c'è il seme.
Ogni situazione che incontriamo nella Vita può quindi portare seme anche se è troppo matura: anzi, meglio marcia che acerba, vuol dire che è stata vissuta. Occorre saper meditare e discernere da ogni situazione, presente o passata, nuovo slancio per il futuro, nuova conoscenza nella sete di conoscere che quotidianamente proviamo. Sete di conoscere informazioni, dinamiche, sensazioni, nuovo piacere. Per ora mi accontento di seguire con lo sguardo le piccole increspature del lago calmo d'inverno: ora è sicuramente un luogo più adatto alla meditazione che in estate. Ci sono meno distrazioni.
(nella foto di oggi di Evelina Valagussa: il Lario, ramo lecchese, d'inverno)

martedì 6 gennaio 2009

Il profumo della neve


Saper percepire il profumo della neve vuol dire applicare la teoria dell'aspettazione del piacere del buon Giacomo Leopardi. Ieri sera ero da amici e quando sono uscito sul far della mezzanotte l'ho sentito nell'aria. Soffiava un vento da Nord e portava il profumo della neve. Poco dopo qualche fiocco è volteggiato in cielo, mentre percorrevo la strada nera di casa attorniato da distese bianche della neve di Capodanno. Ma la neve è arrivata copiosa solo più tardi, mentre in tanti dormivano: e oggi sono stati sorpresi dal bianco splendore. Ricordo quando ero piccolo che al mattino in cui sospettavo neve stavo più attendo, prima di alzarmi, ai segnali che con la vista e l'udito potevo avere anche nel letto circa il fatto se fosse nevicato o meno. La luce, innanzitutto: la notte di neve è luminosa, così come il giorno, seppur coperto, lo è. E poi il rumore delle auto: se era piovuto lo sentivo, quando invece nevica non si sente nulla: tutto è ovattato, il silenzio impera. Una sana nevicata ogni tanto ci vuole: ci riporta ai tempi che abbiamo persi, più consoni alla nostra Vita. E meno di corsa. E poi la neve stimola al dialogo coi vicini, in strada, mentre la si spala. Sono tante piccole sensazioni sulla neve, su quanto ci porta. Nella sua manifestazione.
Tornando al profumo della neve, potremmo disquisire su quante volte dovremmo essere capaci di percepire il profumo di un qualcosa ancor prima che lo stesso evento sia manifesto. Un pò quello che ragionavo ieri parlando del visibile o del non visibile. Ma questa è un'altra storia, su cui mi devo applicare in questo inizio 2009.
Un ultimo pensiero sulla immagine di oggi, che non è mia. In Brianza è tipico trovare delle cascine fortificate sulla cima dei numerosi colli. Ieri ci siamo dedicati al Castello di Crippa che giocava a nascondino con la nebbia, oggi ci spostiamo di poco e ci dedichiamo a quello del Buonmartino a Olgiate Molgora, ammantato di neve. Nel suo mistero è pura poesia. Gli ho tolto il colore perchè con il pensiero voglio viverla come se fosse una immagine di secoli fa: del resto, anche grazie alla neve, non abbiamo elementi che ci riportano ai giorni nostri. Oggi voglio perdermi nel tempo che fu...
(nella foto di Isabella Lavelli di oggi: il Buonmartino a Olgiate Molgora, ammantato di neve)

lunedì 5 gennaio 2009

Tra il visibile ed il non visibile


L'altro giorno a Sirtori mi ha catturato lo sguardo il gioco che la nebbia faceva con il Castello di Crippa. Era una terra di mezzo tra l'azzurro del cielo ed il grigio della pianura coperta dalla nebbia. Mi sono fermato qualche minuto ad osservare lo spettacolo che ho cercato di fermare nella immagine che riporto qui sopra.
La nebbia velava Crippa e poi la svelava. Un continuo gioco tra ciò che è visibile e ciò che non è visibile. Nel quotidiano succede spesso, ed in tempi anche più rapidi: soprattutto nei rapporti interpersonali. Il pensiero porta talune considerazioni, la percezione talune altre. L'istinto porta in alcuni lidi, la razionalità in altri. L'importante è fare in modo che la mente lavori sempre, sapendo discernere ciò che è appena visibile da ciò che ancora non lo è. E vedendo ciò che sarà visibile, prima ancora che lo sia, scrutando il non visibile. Sipario di nebbia nel pensiero...
(nella mia foto di oggi: Sirtori, Castello di Crippa tra nebbia e azzurro)

sabato 3 gennaio 2009

Montagne di ghiaccio. Nell'azzurro.


Qui sopra vedete delle montagne di ghiaccio. Nell'azzurro. Azzurro del cielo, che si riverbera sulla neve. Ma anche l'acqua è azzurra come l'aria. E' un azzurro unico, ghiaccio e acqua, cielo e aria. Non ho mai vissuto la montagna in inverno. Non scio e mi son sempre guardato dall'affrontare escursioni sul ghiaccio d'inverno, anche se dovrei scoprire la poesia di una ciaspolata nella neve fresca, magari al chiaro di luna. Ora è la dimensione notturna che mi manca, dopo che oggi mi sono nutrito di quella diurna, con tante piccole percezioni da incasellare: il rumore della neve farinosa sotto le scarpe, il freddo intenso che ti gela le narici, i muri di neve, le candele di ghiaccio, la montagna lontana che s'accende dell'arancio del sole al tramonto mentre la valle cade già nell'ombra: un ennesimo contrasto come il bianco ed il nero. Ho sempre vissuto la montagna smeraldina d'estate, ed oggi l'ho vissuta d'inverno. Tutto è uniforme, il silenzio è ovattato, i torrenti spesso immobili. Le foglie non esistono, gli alberi sono così diversi. Il mio occhio oggi è riuscito a trovare meraviglia anche in alcuni frutteti di meli in Valtellina: filari spogli di legno contorto nel bianco della neve. In Brianza la stessa immagine l'ho ritrovata nel carpino lungo la strada della Valfredda, a Montevecchia. E la galaverna è stato il sottile filo rosso tra la collina e la montagna oggi. Giornata di contrasti per l'occhio, di domande per la mente, e di ricordi per il cuore: forse perchè se anche avessi lanciato una domanda con un urlo nella valle, a differenza dell'estate, oggi non si sarebbe nemmeno sentito l'eco. Sarebbe rimasto prigioniero della neve: così maestosa, così immensa, così terribile: "Santa Maria, Signora della neve, copri col bianco, soffice mantello: il nostro amico, il nostro fratello. Su nel paradiso, lascialo andare, per le Tue montagne" (Signore delle Cime, Bepi de Marzi - clicca qui per ascoltarne una versione: http://www.coromarmolada.it/signore.htm).
Dedicato a Daniele Chiappa "Ciapin" e a tutti i miei amici che dalla montagna non son più tornati.
(nella mia foto di oggi: paesaggio invernale al Passo del Foscagno)

venerdì 2 gennaio 2009

Orione, il signore dell'inverno


"Puoi tu annodare i legami delle Plèiadi o sciogliere i vincoli di Orione? Fai tu spuntare a suo tempo la stella del mattino o puoi guidare l'Orsa insieme con i suoi figli?" (Libro di Giobbe, capitolo 38, 31-32). Il legame tra l'uomo e le stelle è infinitamente infinito. Già la Bibbia, nei versetti qui richiamati, ne decanta la magnificenza. Le Sacre Scritture citano in questo passaggio quattro grandi protagonisti del cielo: le Plèiadi, ammasso di stelle di intenso candore; l'Orsa, non precisata se quella Maggiore o quella Minore, una delle quali ha nella stella polare la bussola naturale che ha guidato tanti naviganti dai tempi che furono; la stella del mattino, che dovrebbe essere Venere (anche se è un pianeta); ed infine, non lasciato casualmente per ultimo, Orione: il signore dell'inverno. Credo che non occorra essere astronomi od astrofili per riconoscere questa magnifica costellazione nei cieli stellati e gelidi dell'inverno. La si vede, oserei dire, anche ad occhi chiusi: così eterea, così grande, così perfetta. Per me l'inverno non è tale se non vedo Orione. Quando osservo il cielo nelle notti d'inverno ne cerco la forma come una specie di mantello cosmico di protezione. E' per me una sorta di stella polare. Alcune cose ci si legano senza motivo con un legame che poi non ha invece motivo di cessare. Una di queste è per me Orione. Ricordo quella costellazione osservata in tante notti diverse, con stati d'animo diversi. Ancora oggi, poco fa, l'ho cercata con lo sguardo. Ma oggi c'è nebbia qui al piano, e la galaverna rende ancora più scheletrici gli alberi spogli, cristallizzando la neve in un banco di marmo bianco. Che neanche il vento scolpirà... Ma presto, molto presto, nuova neve fresca restituirà poesia al paesaggio. E dopo la nuova nevicata, alla prima notte serena, Orione ricomparirà tremolante a contendere la scena celeste alla Luna.
(nella foto di oggi tratta dal web: la costellazione di Orione)

giovedì 1 gennaio 2009

Sotto la neve pane... Un auspicio di inizio 2009


"Sotto la neve pane..." La notte che ha separato e unito il 2008 al 2009 è trascorsa veloce ovattata dalla ennesima nevicata. Anche i botti di mezzanotte non si sono quasi sentiti, quasi come se i festeggiamenti fossero in tono minore. E lo saranno forse anche stati. Colgo questo in questi giorni. Colgo che tanti hanno festeggiato magari anche solo un pochetto perchè a Natale e Capodanno non si può non festeggiare, ma spesso e volentieri ci si trova a far qualcosa non perchè si vuole o si crede ma perchè si deve. Nel mio stile è ciò che ho sempre cercato di non fare, a volte rendendomi poco diplomatico (sic!): non mi piace vestire maschere e già la Vita quotidiana ci costringe a relegare il nostro Essere veri in un angolino del nostro cuore, quello più recondito la cui vista non è riservata ai più, ma ai pochi eletti che magari riescono a cogliere la luce di quel riverbero in uno sguardo, in un modo di porsi. "Sotto la neve pane..." Ritorno alla prima frase della prima riga del primo post del primo giorno del primo mese di questo anno 2009. Ovviamente, restando in tema di pane, non è farina del mio sacco, ma è un detto popolare molto diffuso e vero. L'ho richiamato perchè l'alba di questo primo giorno dell'anno nuovo (e non nuovo anno, si veda l'ultimo post del vecchio anno, e non anno vecchio) così ammantata di neve, aveva la poesia della Pace, aveva la poesia del candore: la neve rende tutto uguale, strade, prati, tetti, alberi, case, auto: tutto ammanta di bianco, nasconde il brutto e tutto rende dolce. Ecco l'auspicio di questo inizio d'anno nuovo: che sia un anno prima di tutto dolce, ma anche un anno ardito, un anno costruttivo, un anno da vivere. Io ci proverò. E se ci proveremo tutti potrà essere un anno migliore di quello che abbiamo lasciato alle spalle. Perchè la mia cara maestra unica delle scuole elementari (eh sì, ai tempi delle mie scuole elementari mi sembra ci fosse la maestra unica o sarà un caso che me ne ricordo ancora solo una) diceva che "un soldato da solo non fa la guerra" e forse bisognerebbe aggiungere che anche la Pace ed il Bello non si possono fare da soli.
Intanto l'imbrunire di questo primo giorno ha ceduto il posto al buio della notte, e una nebbia gelida ha avvolto questo angolo di Brianza...
(nella mia foto di oggi: alba nevosa sul borgo di Pagnano, in lontananza Montevecchia)