mercoledì 31 dicembre 2008

Buon Anno. E che sia un anno nuovo...


Buon Anno 2009 a tutti, di cuore. In queste poche ore che mancano alla fine del 2008 ("anno bisesto, anno funesto", nella miglior tradizione) è facile, mentre fuori nevica, farsi prendere dalla malinconia di ricordare belle sensazioni vissute in questo anno oppure farsi angosciare dal ricordo di brutte sensazioni vissute. Bisogna avere il coraggio di fare un bel pacchetto, metterlo preciso preciso nella bisaccia del 2008 e chiuderla. Ciò che viviamo diventa parte di noi ed in qualche modo ci tempra, ci migliora. Sia che viviamo cose belle che cose brutte. La Vita è vivere e tra l'odio e l'amore è più devastante l'indifferenza: che è il non vivere. Non è stato un anno facile, ma l'augurio è che il 2009 sia davvero non tanto un nuovo anno, ma un anno nuovo: perchè a volte non è vero che invertendo l'ordine dei fattori il risultato non cambia. Come in questo caso. Per quanto mi riguarda stasera cercherò con lo sguardo come ogni anno, poco dopo la mezzanotte, la brace di un falò o di un camino e ne seguirò le feripole, ritrovando in esse tutti gli attimi di vita vissuta del 2008: ad meliora !
(nella foto di oggi tratta da www.corriere.it: fuochi di Capodanno a Kap Arkona, in Germania. L'immagine mi piace molto perchè è così irreale, quasi fiabesca, e reale allo stesso tempo)

domenica 28 dicembre 2008

In siretina, tra ul ciar e ul fosch


Nella scansione dei momenti della giornata il brianzolo così battezza l'imbrunire: "In siretina, tra ul ciar e ul fosch" (letteralmente: quando è piccola sera, tra la luce del giorno e il buio della notte). La "siretina" pertanto si colloca appena dopo quel momento in cui il sole scende oltre l'orizzonte: i colori con toni fosforescenti si fanno ancora più vivi e le luci si accendono pian pianino qua e là. La "siretina" credo sia il momento più bello della giornata, forse dolce d'estate e più rigida d'inverno. E' l'ora in cui le cornacchie gracchiando sinistramente vanno "a mason" (a dormire), è l'ora in cui la Natura si prepara alla notte. E' l'ora nella quale nei piccoli duelli rusticani di Brianza la minaccia si fa più viva (da cui il detto "se al ciapi in siretina..." - se lo prendo all'imbrunire...). L'espressione "tra ul ciar e ul fosch" mi piace molto nel nostro dialetto sempre più in disuso (anzi, chiedo già pubblica venia per le sicure imprecisioni nel modo di scriverlo, ma mi basterebbe aver dato l'idea...).
Ed ora un piccolo racconto ambientato "in siretina". Quella sera Carletto rientrava a piedi da Galbusera Nera "in siretina", come ogni giorno, lungo i sentieri che attraversano la valle salendo verso Monte. Il passo sicuro come quello di un uomo che percorreva quei sentieri da una Vita intera di notte e di giorno, in tasca il classico "rampinet" che fa di un uomo il vero contadino brianzolo. Il "rampinet" in italiano può forse essere definito come una "piccola roncola tascabile" e chi vive e lavora in campagna lo ha sempre in tasca per innumerevoli usi: va bene per pulire la verdura nell'orto, per cimare eventuali rovi o rami che interrompono i sentieri, per pulirsi le scarpe o gli stivali dal fango, e perchè no, per una prima sommaria difesa da eventuali aggressioni di animali 0 uomini, soprattutto a scopo intimidatorio. Carletto proseguiva con il passo sicuro ed aveva appena scollinato il sentiero dei cipressi, iniziando la discesa verso Monte: ormai la "siretina" aveva ceduto il posto al primo buio della notte. Tutto d'un tratto Carletto si trova davanti un teschio illuminato da una lampadina elettrica e posto su un bastone che minacciosamente si pretendeva da una siepe verso di lui con strani rantoli. "Porcu dighel" esclama Carletto arretrando spaventato e portando verso il teschio il "rampinet". In quel momento il teschio viene lasciato cadere a terra e dal cespuglio saltano fuori alcuni amici sorridenti per lo scherzo riuscito... Ecco cosa può succedere "in siretina" in Brianza: l'ho sempre detto che son nostalgico di qualche anno fa perchè bastava davvero poco per divertirsi. Anche "in siretina". Posso però considerarmi fortunato; questo è un racconto che mi ha detto direttamente Carletto: ora anche lui, come dicono gli Alpini, è andato avanti.
(nella mia foto di oggi: il santuario di Montevecchia "in siretina")

venerdì 26 dicembre 2008

Tramonto gelido di Brianza. Dopo la bufera.


E' arrivata con il buio. Di colpo, come il terremoto che ha scosso le case solo un paio di giorni fa. Chissà perchè prima di manifestazioni incredibili la Natura ci coccola in uno scenario d'irreale calma. Quale ieri sera. Calma di vento. Calma la temperatura, che non saliva nè scendeva. Calma la pressione, immobile. Calma l'umidità, come un funambolo sul filo. Tutto ciò che ci consente di percepire il clima era immobile. Lo stesso effetto lo avevo percepito prima di un violento temporale estivo notturno. Qualcosa era nell'aria e infatti...
In un batter di ciglio inizia a piovere, e poi con fragore il vento dell'Est si abbatte sulle imposte che tremano, il moccolo di Natale che ancora illuminava il balcone viene spento e non si forma neanche il filo di fumo di quando una candela si spegne, la temperatura precipita, l'umidità aumenta, la pressione s'impenna. E' l'aria fredda dell'Est che bussa alle porte della Brianza. Ora il vento fischia e la pioggia orizzontale si trasforma in palline di ghiaccio. Come spesso accade nella Vita dopo la foga iniziale arriva la calma, ora la pioggia gelata ha ceduto il posto ai fiocchi che orizzontali danzano nel vento, creando turbinii incredibili attorno ai lampioni. Sembra l'inverno di Antonio Vivaldi, primo movimento. La terra si fa bianca, il vento di tanto in tanto ulula di nuovo, la temperatura si avvicina allo zero. E' notte.
Poi l'alba s'accompagna al cielo azzurro e terso. I cristalli di ghiaccio sfavillano al sole. Ed il loro sfavillare è l'inizio della loro fine, il sole li scioglie rapidamente. All'ombra la neve resiste e si illumina dell'azzurro del cielo, che verso sera tende al blu, al senso di ghiaccio, al senso di freddo. Antonio Vivaldi, l'inverno, secondo movimento. Cerco il dolce suono del clavicembalo nel tramonto, ma dev'essere un tramonto su una zona che ha avuto ombra per il giorno: cerco il blu della neve che riflette il cielo e l'arancio del sole che va a riposare. Ciò che cerco l'ho trovato a Perego, nella conca di Bernaga: aspetto il momento propizio picchiando i piedi per terra per sentir meno il gelo: ci vorrebbe del vin brulè... Ma ecco lo scatto che eterna l'attimo, mentre il vapore acqueo del mio respiro si dissolve verso l'alto. E' un tramonto gelido di Brianza. Dopo la bufera. E oltre l'orizzonte la Brianza pulsa di nuovo...
(nella mia foto di oggi: tramonto a Bernaga di Perego)

mercoledì 24 dicembre 2008

Buon Natale. Di cuore...


"It must have been love, but it’s over now" (Roxette, It must have been love). Buon Natale a tutti. Di cuore. Il periodo tra Natale e Capodanno è per me un periodo intenso, spesso nostalgico e triste. E' il momento in cui gli impegni quotidiani si fanno più radi e quindi il Tempo ti consente di pensare. Il "non pensare" è spesso e volentieri una forma di difesa: e allora si rincorrono gli impegni quotidiani e si trova la realizzazione di noi stessi nella sola buona riuscita dei tanti appuntamenti che costellano una giornata. Poi quando gli impegni si fanno radi, come a Natale, si cerca dell'altro, e forse troppo spesso ci si trova con la sabbia tra le mani, che scorre, lasciandoci le mani vuote. Stasera la nostalgia mi ha portato a riascoltare un pò di canzoni degli anni ottanta, gli anni della mia adolescenza: come quella dei Roxette che ho citato in apertura di post e che mi sono sentito negli ultimi mesi addosso, quando ti rendi conto di ciò che hai vissuto ma anche che ormai è tardi ("it's over now") Ogni volta che sento delle canzoni degli anni ottanta mi sembra di rivivere quella età, così dolce, da contrapporre alla durezza del quotidiano di quando ti trovi tra i trenta e i quaranta anni e sai che una certa impostazione alla tua Vita l'hai già data, non come quando sei adolescente che tutto è più elastico e la Vita la devi ancora impostare. Ma "per ogni cosa c'è il suo momento, il suo tempo per ogni faccenda sotto il cielo". Questa pagina di Qoelet è per me bellissima e fonte di grande consolazione anche quando mi trovo un pò in crisi: è il mio regalo di Natale per tutti quelli che mi conoscono o che leggono questo blog senza conoscermi di persona, il mio augurio è che ognuno nel leggerla ci trovi il senso della Vita. E lo trovi nel fuoco del camino riportato in questo post: un focolare in cui riporre gli affetti più vicini. Un abbraccio! Qoelet, capitolo 3: "Per ogni cosa c'è il suo momento, il suo tempo per ogni faccenda sotto il cielo. C'è un tempo per nascere e un tempo per morire, un tempo per piantare e un tempo per sradicare le piante. Un tempo per uccidere e un tempo per guarire, un tempo per demolire e un tempo per costruire. Un tempo per piangere e un tempo per ridere, un tempo per gemere e un tempo per ballare. Un tempo per gettare sassi e un tempo per raccoglierli, un tempo per abbracciare e un tempo per astenersi dagli abbracci. Un tempo per cercare e un tempo per perdere, un tempo per serbare e un tempo per buttar via. Un tempo per stracciare e un tempo per cucire, un tempo per tacere e un tempo per parlare. Un tempo per amare e un tempo per odiare, un tempo per la guerra e un tempo per la pace".
(nella mia foto di oggi: il camino di Galbusera Nera)

lunedì 22 dicembre 2008

Varigotti. Inverno.


"Certe notti la macchina è calda e dove ti porta lo decide lei..." (Luciano Ligabue, Certe Notti). Oggi mi è successa una cosa simile. Stavo guidando in Tangenziale Est assorto nei miei quotidiani pensieri e ad un certo punto, guardando il sole all'orizzonte, mi è venuto un moto d'istinto immediatamente frenato dalla razionalità del momento: avrei voluto guidare lungo tutta la tangenziale, poi in autostrada verso l'Oltrepò e verso Genova, arrivare al mare, alla Riviera di Ponente e posare il mio volo sul molo di Varigotti. D'inverno. Stare su quel molo dove ci sono stato solo nelle sere d'estate ascoltando i flutti sugli scogli, starci in pieno giorno pochi giorni prima di Natale, seduto a uovo, rannicchiato, facendo perdere lo sguardo oltre l'orizzonte. E' proprio vero che certi luoghi non li sai affrontare con lo spirito giusto quando li conosci per la prima volta, e solo dopo li capisci. Comprendi tante situazioni dopo una lunga elaborazione della mente, dopo lunghi mesi, dopo che le stagioni hanno fatto il loro corso magari non solo una volta, ma anche due. Oggi la mia mente era a Varigotti, senza se e senza ma, è volata lì in un batter di ciglio come un gabbiano ed il mio pensiero stasera si è materializzato in questo foto del molo al tramonto che apre questo post. Credo che su quel molo ci sia un frammento di me, abbandonato da mesi, come un ciondolo caduto. Credo che di questi ciondoli virtuali ne abbia diversi sparsi per l'Italia e non solo: a Lecco, in Valsassina, in Valfurva, nelle campagne toscane e umbre, a Parigi, in Costa Smeralda, ad Alassio, di fronte a Bergeggi, sull'Isola del Giglio, a Varenna, a Bellagio. L'ultimo ciondolo però l'ho perso sul molo di Varigotti: forse devo iniziare a cercare questo per primo, e ciondolo dopo ciondolo ricostruire una collana con la quale chiudere il cerchio. E a Varigotti dico: scusami se ci ho messo tanto a capire la tua magia. "Sarai quello che non lascia respirare, sarai quello che indelebile rimane" (Silvia Salemi, Ormai)
(nella foto di oggi tratta da "Panoramio" di "Formefil": il molo di Varigotti al tramonto)

sabato 20 dicembre 2008

Il Tempo della "Meditatio"


In un post di qualche tempo fa avevo già scritto che alla base di ogni nostro gesto dovrebbe esserci un minimo ragionamento effettuato con un certo schema mentale. Uno schema abbastanza stringato ma chiarissimo, da gestire in pochi secondi, ore, giornate o settimane a seconda dell'importanza della posta in palio o della disponibilità di Tempo che ci può separare dall'agire. Lo schema è quello legato alla semplicissima sequenza "Lectio - Meditatio - Actio" che quindi va esplicitata in questo schema: capire un fatto, un evento, una sensazione (Lectio), comprenderne il significato ed elaborare una risposta logica o illogica (Meditatio) e infine agire sulla base dei due passaggi precedenti (Actio). Purtroppo non sempre riusciamo ad avvicinarsi ad ogni situazione che la Vita quotidianamente ci pone con il necessario "distacco" che ci consente di affrontare i passaggi di cui sopra. A volte ci sembra più giusto agire senza pensare, a volte pensiamo senza agire, a volte agiamo senza capire, a volte capiamo e non agiamo... Per esempio un fuoco d'artificio è progettato e preparato per fare un certo gioco di luci: ma ogni lancio dello stesso fuoco d'artificio crea un effetto diverso, a seconda della situazione, del clima, del vento, della direzione che prende il lancio stesso. Allo stesso modo ogni nostra decisione può cambiare a seconda del contesto e gli effetti di una nostra identica decisione sono differenti a seconda della situazione... Ora per me è il Tempo della "Meditatio"...
(nella mia foto di oggi: fuochi d'artificio a Monte di Rovagnate)

martedì 16 dicembre 2008

I cinque sensi

E' incredibile come a volte taluni luoghi riescano a generare dentro di noi delle sensazioni che sembravano sopite ed invece in un attimo si rianimano, senza spiegazione logica. Credo che lo stesso effetto dato dai luoghi possa essere generato in generale da qualcosa legato ai cinque sensi. Pensiamoci un attimo: la stessa sensazione che ci viene data da un certo luogo (la vista) può esserci data da un profumo (l'olfatto), da una musica od una canzone (l'udito), da un particolare vino o cibo legato ad un momento particolare (il gusto) e infine da un contatto, un abbraccio, una stretta di mano (il tatto). Stasera mi sono trovato, mio malgrado, in un luogo in cui non passavo da tempo (e non a caso... per l'appunto) ed uno dei miei cinque sensi (la vista) è stato stimolato dalle immagini di quel luogo ed ha generato in me delle emozioni e sensazioni di un certo tipo, che erano racchiuse nel mio cuore. Il tempo è la giusta medicina, si dice, ed io stasera ho capito che ne ho bisogno ancora un pochetto. Tutto non ha una spiegazione logica, me ne rendo conto, e rappresenta quindi uno di quei "locus desperatus" di un utilizzo del raziocinio che non sempre riesce a spiegare tutto: ma questa è un altra storia, o meglio, mi son promesso di parlare di questo secondo "locus" nei prossimi giorni. Oggi ho però capito cosa non farò a Natale... O meglio, cosa non dovrei fare. Poi volere è potere... E' difficile spiegare le sensazioni con le parole, ma l'immagine è uno strumento che è maggiormente condivisibile: ed è la foto di stasera...
(nella foto di oggi di Stefano Anghileri: Lecco, Lungolario Isonzo)

domenica 14 dicembre 2008

Avere un paese


Stasera mentre ero in auto delle luci hanno catturato il mio sguardo. Ho notato in lontananza delle luminarie natalizie particolari: erano delle linee molto semplici, di tipo artigianale, e salivano come gradini verso la cima di una collinetta. Ho invertito la marcia e mi sono avvicinato, avendo capito che era la collina di Beolco, a Olgiate Molgora. Giunto di fronte alle luminarie mi si è presentato lo spettacolo che ho immortalato nella foto riportata qui sopra, che se non è un granchè dal punto di vista fotografico ha fermato l'emozione che avevo dentro di me. Una emozione atavica... In effetti quelle luminarie erano molto semplici, delle normalissime file di lampadine senza disegni particolari, alcune bianche, altre colorate, issate tra pali di legno o tra le case sulla sommità della collina. Mi hanno dato un senso di artigianale, di un qualcosa che non si assapora più se non nelle piccole località dei piccoli paesi: come Beolco per l'appunto. Sono quelle piccole località dove forse ancora oggi si riesce a vivere il senso del paese, in un mondo che tende sempre più a spersonalizzare ogni cosa. Rivivo un pò stasera quanto avevo già scritto nel mio post del 15 maggio 2008 dal titolo "Insegna tipica: "osteria". Rivivo le parole di un grande scrittore italiano, Cesare Pavese: "Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c'è qualcosa di tuo e che anche quando non ci sei resta ad aspettarti".
Forse quando scrivo queste cose un pò di nostalgia si fa viva dentro me. Ma è una nostalgia strana. Normalmente si ha nostalgia di qualcosa che si è vissuto: in questo caso ho nostalgia di qualcosa che non ho vissuto se non indirettamente, ascoltando parole d'altri od osservando i piccoli borghi nella nostra Brianza. E' la nostalgia dell'essere paese, qualche decennio fa...
(nella mia foto di oggi: Beolco di Olgiate Molgora, luminarie natalizie; dicembre 2008)

sabato 13 dicembre 2008

Locus amoenus e locus desperatus



La Vita è fatta di riferimenti, non vi è ombra di dubbio. Questi vengono quotidianamente utilizzati per misurare sentimenti, sensazioni o dati di rigore scientifico. Le unità di misura vengono computate mediante l'utilizzo di riferimenti, la nostra Vita ha bisogno di figure di riferimento, il nostro cuore ha bisogno di luoghi di riferimento.
Alcuni autori classici avevano individuato nel "locus amoenus" quell'elemento del paesaggio che rappresentava questo "luogo - non luogo" dove era possibile raggiungere la stabilità dell'Animo. Io nel mio piccolo, dato che sono molto legato alla mia Terra, mi sono ricavato un piccolo "locus amoenus" a Monte di Rovagnate, e nella foto qui sopra lo mostro nella versione invernale, vista la stagione. Credo che la collina dei cipressi sia un luogo unico e magico allo stesso tempo.
Un pò di storia. I cipressi vennero messi a dimora nel corso dell'Ottocento lungo tutti i confini della proprietà della Marchesa D'Adda Busca di Lomagna, che aveva fatto della cosidetta tenuta "Busca delle due Galbusere" (che sarebbero Galbusera Bianca e Galbusera Nera) la sua casa di campagna. I cipressi vennero piantati come sentinelle lungo i confini della tenuta (come quello fotografato nel post sull'inverno) ed una cerchia degli stessi venne messa a dimora sulla sommità della collina dei cipressi, che rappresentava in sostanza il "belvedere" della proprietà. Sicuramente, come ogni luogo elevato e con in vista il sole all'alba, tale collina venne utilizzata nella notte dei tempi per riti propiziatori. Neanche troppo tempo fa ho assistito ad un rito di "Beltane" (l'inizio della stagione luminosa per i celti, nella notte tra il 30 aprile e il 1° maggio) messo in scena (era il caso di dirlo) da dei giovani leghisti abbastanza imbranati che credo avessero cercato informazioni sul rito qua e là su internet. La scena fu bellissima. Io mi trovavo sul posto con una mia carissima amica esperta della materia che, nel suo stile, non seppe restare in silenzio facendo notare gli errori del rito. Non vi dico che figura fece colui che guidava il gruppo. Di Beltane più tranquilli ne ho fatti con questa mia amica al mio "locus amoenus", e credo che ci sia ancora la traccia di cera verde sui sassi.
Le parole spesso fuggono di mano, come in questa occasione. Stavo parlando della collina dei cipressi come mio "locus amoenus" e mi son perso in mille rivoli...
Tornando sul tema, per me questo luogo è una sorta di riferimento. Ci sono stato in ogni stagione ed in ogni ora del giorno e della notte, facendomi accarezzare il viso dalla brezza che corre sempre tra un cipresso e l'altro, sedendomi sul troncone di un cipresso tagliato alcuni anni fa ed ancora molto odoroso. Chissà quante altre persone hanno utilizzato questo luogo a questo scopo. Sarebbe bello un giorno, in una notte di luna piena, trovarci tutti (intendo coloro che hanno trovato nella collina dei cipressi quello che vi ho trovato io) sulla sommità di questo "locus amenus" a parlare liberamente: "liberi pensieri su libero suolo, libere emozioni liberamente vissute"... Oltre che del "locus amoenus" stasera volevo parlare anche del "locus desperatus" di filologica memoria, estendendolo alla razionalità dell'agire. Ma ritornerò sull'argomento nei prossimi giorni.
(nella mia foto di oggi: Monte di Rovagnate, la collina dei cipressi innevata)

venerdì 12 dicembre 2008

Lo scalogno di Pianetta


L'immagine qui sopra riporta una riproduzione dell'incipit di "Carlambrogio da Montevecchia" di Cesare Cantù, edito nel 1857. Rappresenta una descrizione di Montevecchia a quel tempo. Qualche anno dopo la situazione non cambia, come leggiamo su "Sette giorni a Merate" di Rusticus, edito nel 1896: "ogni sorta di frutta, specialmente i fichi, molte qualità di verdure, in modo particolare il pomodoro, perfino l'erba salvia, il rosmarino, il finocchio sono portati da questi contadini ai varii mercati, venduti ai grossisti, ai privati, a tutti". Come vedete lo stile è lo stesso, ed anche la situazione di Montevecchia, collina delle meraviglie, è simile. Questo vuole essere il primo di tanti post che voglio dedicare alla mia Terra: mi considero fiero di abitare all'ombra di Montevecchia, che per ogni brianzolo del meratese rappresenta ancora oggi una specie di "faro".
Oggi voglio raccontarvi una storia, una piccola grande storia. E' la storia di Giancarlo e Albertina che hanno ritrovato una verdura locale che era andata praticamente persa e che, anche in modo fortuito, è stata nuovamente coltivata e si può ancora oggi assaporare: lo "scalogno di Pianetta". Credo sia una storia molto semplice ma ricca di significato, che dedico a tutti coloro, e so che sono tanti, che stanno cercando di ritrovare le radici della nostra agricoltura, che ha sempre fornito le migliori primizie alla città di Milano.
La storia dello scalogno prende origine da un libro simile a quelli che ho citato sopra, che Giancarlo aveva letto qualche tempo fa. Si parlava di un misterioso "aglio-cipolla" che veniva diffusamente coltivato nella zona di Montevecchia. La notizia ha incuriosito Giancarlo che ha iniziato le ricerche di cascina in cascina, di vecchio in vecchio: tutti ricordavano qualcosa ma nessuno coltivava ancora questa verdura, che sembrava quindi estinta. Ma Giancarlo non si è perso d'animo ed ha iniziato a percorrere i terrazzamenti coltivati e abbandonati di Montevecchia con Albertina. Un certo giorno, non lontano da casa, a Cascina Pianetta VI di Missaglia, si è imbattuto in uno strano cespuglio cipollino, odoroso. Lo ha osservato, lo ha tenuto sotto controllo durante la stagione vegetativa, e quando è stato il momento lo ha raccolto con molta attenzione. Ne ha riprodotto i bulbi e non senza meraviglia si è accorto che si trattava del cosidetto "aglio-cipolla" citato nel Settecento: è così rinato lo "scalogno di Pianetta". Ora Giancarlo e Albertina lo coltivano da anni e ne fanno anche una splendida conserva in agrodolce che è notevole: e che si assapora ancora di più sapendo come è nata.
Ampliamo la ricerca, se qualcuno ricorda qualche prodotto agricolo del nostro territorio oggi scomparso risponda a questo post. Grazie!

giovedì 11 dicembre 2008

Perchè esiste l'inverno...


Da alcuni giorni l'inverno è iniziato a pieno titolo. La neve è tornata a comparire sulle nostre colline di Brianza come non la si vedeva da tempo, ed il paesaggio è pienamente autunnale. Sto scoprendo che però tanti non lo amano, l'inverno. Io lo adoro. Non solo per la neve, che ha il potere di rendere poesia anche una periferia metropolitana e trasforma la campagna in un quadro vivente. Penso sempre alle parole dei nostri vecchi, così intessute del legame che avevano con la dolce amara Terra. L'annata agraria è iniziata a San Martino e la prima stagione che incontra è l'inverno. Un inverno rigido e nevoso rende più regolari anche le stagioni che lo seguono. "Sotto la neve pane..." recita il noto proverbio. E sotto la neve infatti è garantito un ottimo frumento. Un inverno freddo poi attua la necessaria selezione degli insetti che poi d'estate renderanno meno lieta la stagione calda apportando, oltre che fastidio, seri danni ai prodotti della Terra e agli alberi. Insomma, un inverno normale, che è un raro evento ormai confinato alle immagini del famoso film "L'albero degli zoccoli", è garanzia di un anno normale. Per questo la stagione più fredda non andrebbe bistrattata. Ampliando il discorso occorrerebbe inoltre pensare alla percezione delle altre stagioni, che è direttamente legata all'inverno. Se non ci fosse la stagione fredda, la primavera ci sembrerebbe meno colorata e profumata e i primi tepori non verrebbero colti come la ripresa della Natura. "L'inverno è per la Natura come il sonno per l'Uomo" diceva il buon Giancarlo venerdì alla serata sulle erbe officinali. E' vero, d'inverno gli alberi dormono per recuperare le energie che esploderanno in primavera, come noi facciamo ogni notte. E come noi se non dormissimo impazziremmo, lo stesso farebbe la Natura se non vivesse l'inverno. Insomma, ripensiamo all'inverno in un modo più positivo. E se nel nostro vivere quotidiano sentiamo la nostra Vita, intessuta di rapporti con gli altri, stretta nella morsa del gelo invernale, pensiamo che quando giungerà la primavera la sapremo apprezzare e vivere ancora di più. P.S. Visto che ho parlato dell'inverno e nel mio profilo c'era ancora la foto con le spighe, ho adeguato l'immagine alla stagione :-)
(nella mia foto di oggi: Perego, cipresso nella neve)

domenica 7 dicembre 2008

Frammento d'imbrunire

Stasera voglio aggiungere un elemento in più alle mie parole scritte, l'elemento immagine. Amo la fotografia. Ho sempre con me la fotocamera perchè è uno strumento eccezionale. Come nella mente in un frammento di secondo può eternarsi una sensazione, un profumo, una immagine, allo stesso modo la fotografia è un'opera d'arte multiforme. Ciò che viene immortalato (ovvero "reso immortale") viene infatti prima percepito dagli occhi, poi ragionato dalla mente, quindi metabolizzato dal cuore e infine, grazie alla fotografia, possiamo dare forma ad una opera che può regalare ad altri le emozioni che ha generato dentro di noi, eternando quel frammento anche per chi lo ha scattato: altrimenti resterebbe nel solo ricordo della nostra mente, con la tendenza ad ingiallire nel tempo.
La fotografia che posto stasera l'ho scattata oggi all'imbrunire, tra Cereda di Perego e Monte di Rovagnate. E' visibile la magica congiunzione di Giove con Venere, appena sopra al crinale del sentiero dei cipressi. Luoghi a me tanto cari, che conservano una sorta di metafisica in cui l'Essere pervade ogni dove della valle... Il cielo era terso, le prime stelle brillavano, le montagne in lontananza erano innevate: ed una brezza tesa e gelida scivolava dal crinale...

sabato 6 dicembre 2008

Storie di Terra. Oltre il visibile.

Ho recentemente tenuto quattro serate a Sirtori, organizzate dal Comune e dagli Alpini, sui prodotti agricoli di Sirtori e della collina di Montevecchia e del relativo Parco. S'intitolava "I Sapori del Parco", nell'alveo tracciato da una analoga iniziativa (forse più di massa...) che avevo organizzato negli anni scorsi per il Parco Regionale di Montevecchia e Valle del Curone. Ho sempre avuto la passione di conoscere il più possibile le tradizioni e i prodotti della mia Terra, a cui sono molto legato. Devo dire che le quattro serate sono state davvero fantastiche. La gente che è intervenuta era davvero molto interessata agli argomenti ed i produttori agricoli o gli artigiani alimentari presenti sono stati splendidi. Si è aperta una sorta di finestra sulla Terra, oltre il visibile. Nelle storie di tanti prodotti e nelle tante storie di Vita di chi produce si sono ritrovate sensazioni ed impressioni che la Vita quotidiana tende a sfumare. Ogni prodotto ha dietro una storia, che parte dalla Terra e continua in un rapporto tra Terra, uomo e animali. Madre Terra, mi verrebbe da dire... Sarà anche stato l'ambiente molto familiare come può solo essere una baita degli Alpini (se non ci fossero, bisognerebbe inventarli) con il camino acceso ma davvero si sono vissuti momenti particolari. Iniziando dalla storia del latte, di capra e di mucca, e i relativi formaggi; proseguendo con i vini, somma manifestazione dell'Essenza della Terra: "Il vino è la poesia della Terra", scriveva Mario Soldati. E poi il miele, prodotto del nettare e delle api, silenziose lavoratrici che sono purtroppo decimate da pesticidi usati soprattutto per il mais; i dolci, che hanno nel lievito madre, tramandato di padre in figlio, il loro cuore; le erbe aromatiche ed officinali, prodotti della Natura con proprietà benefiche spesso sottostimate e non conosciute compiutamente. Sentendo queste storie, ritorna il senso della misura, il senso dell'Amore della Terra, il senso che "ogni cosa ha il suo tempo, il suo tempo per ogni faccenda sotto il cielo" (Qoelet). Grazie a tutti voi: Maurizio, Samuele, Raffaele (formaggi), Claudia e Mario (vini), Elio e Antonio (miele), Emanuele (dolci), Giancarlo e Albertina (le erbe aromatiche ed officinali). Grazie a tutti quelli che hanno condiviso questo viaggio, che avrà una nuova parentesi nella prossima primavera. Grazie a tutti voi, quando coltiverò la mia piccola vigna mi sentirò meno solo... Forse farò qualche post anche su queste storie. Meditiamo ed agiamo.

mercoledì 3 dicembre 2008

La quiete dopo la tempesta

E' il tempo della quiete dopo la tempesta. Il vento impetuoso che ululava dieci giorni fa ha mostrato il cielo invernale in tutto il suo splendore. La morsa del freddo si è fatta sentire e lievi fiocchi di neve, tanto attesi, hanno imbiancato le foglie ancora gialle. L'inverno si è fatto vivo, l'autunno si è congedato. Il fanciullino che c'è in me segue gli andamenti stagionali più del mio essere razionale. E' tempo di giocarsi fino in fondo, è tempo di ricalibrare le attenzioni. E' tempo di vivere nell'essere razionale. E' tempo di vivere nell'essere istintivo. E' il tempo che ognuno dovrebbe riuscire a concedere a sé stesso: si vive una volta sola, ed ogni momento non vissuto fino in fondo è un momento che domani potremmo rimpiangere. Insomma, "vorrei imparare dal vento a respirare, dalla pioggia a cadere, dalla corrente a portare le cose dove non vogliono andare e avere la pazienza delle onde di andare e venire, ricominciare a fluire... (Tiromancino, imparare dal vento)".