lunedì 22 dicembre 2008

Varigotti. Inverno.


"Certe notti la macchina è calda e dove ti porta lo decide lei..." (Luciano Ligabue, Certe Notti). Oggi mi è successa una cosa simile. Stavo guidando in Tangenziale Est assorto nei miei quotidiani pensieri e ad un certo punto, guardando il sole all'orizzonte, mi è venuto un moto d'istinto immediatamente frenato dalla razionalità del momento: avrei voluto guidare lungo tutta la tangenziale, poi in autostrada verso l'Oltrepò e verso Genova, arrivare al mare, alla Riviera di Ponente e posare il mio volo sul molo di Varigotti. D'inverno. Stare su quel molo dove ci sono stato solo nelle sere d'estate ascoltando i flutti sugli scogli, starci in pieno giorno pochi giorni prima di Natale, seduto a uovo, rannicchiato, facendo perdere lo sguardo oltre l'orizzonte. E' proprio vero che certi luoghi non li sai affrontare con lo spirito giusto quando li conosci per la prima volta, e solo dopo li capisci. Comprendi tante situazioni dopo una lunga elaborazione della mente, dopo lunghi mesi, dopo che le stagioni hanno fatto il loro corso magari non solo una volta, ma anche due. Oggi la mia mente era a Varigotti, senza se e senza ma, è volata lì in un batter di ciglio come un gabbiano ed il mio pensiero stasera si è materializzato in questo foto del molo al tramonto che apre questo post. Credo che su quel molo ci sia un frammento di me, abbandonato da mesi, come un ciondolo caduto. Credo che di questi ciondoli virtuali ne abbia diversi sparsi per l'Italia e non solo: a Lecco, in Valsassina, in Valfurva, nelle campagne toscane e umbre, a Parigi, in Costa Smeralda, ad Alassio, di fronte a Bergeggi, sull'Isola del Giglio, a Varenna, a Bellagio. L'ultimo ciondolo però l'ho perso sul molo di Varigotti: forse devo iniziare a cercare questo per primo, e ciondolo dopo ciondolo ricostruire una collana con la quale chiudere il cerchio. E a Varigotti dico: scusami se ci ho messo tanto a capire la tua magia. "Sarai quello che non lascia respirare, sarai quello che indelebile rimane" (Silvia Salemi, Ormai)
(nella foto di oggi tratta da "Panoramio" di "Formefil": il molo di Varigotti al tramonto)

sabato 20 dicembre 2008

Il Tempo della "Meditatio"


In un post di qualche tempo fa avevo già scritto che alla base di ogni nostro gesto dovrebbe esserci un minimo ragionamento effettuato con un certo schema mentale. Uno schema abbastanza stringato ma chiarissimo, da gestire in pochi secondi, ore, giornate o settimane a seconda dell'importanza della posta in palio o della disponibilità di Tempo che ci può separare dall'agire. Lo schema è quello legato alla semplicissima sequenza "Lectio - Meditatio - Actio" che quindi va esplicitata in questo schema: capire un fatto, un evento, una sensazione (Lectio), comprenderne il significato ed elaborare una risposta logica o illogica (Meditatio) e infine agire sulla base dei due passaggi precedenti (Actio). Purtroppo non sempre riusciamo ad avvicinarsi ad ogni situazione che la Vita quotidianamente ci pone con il necessario "distacco" che ci consente di affrontare i passaggi di cui sopra. A volte ci sembra più giusto agire senza pensare, a volte pensiamo senza agire, a volte agiamo senza capire, a volte capiamo e non agiamo... Per esempio un fuoco d'artificio è progettato e preparato per fare un certo gioco di luci: ma ogni lancio dello stesso fuoco d'artificio crea un effetto diverso, a seconda della situazione, del clima, del vento, della direzione che prende il lancio stesso. Allo stesso modo ogni nostra decisione può cambiare a seconda del contesto e gli effetti di una nostra identica decisione sono differenti a seconda della situazione... Ora per me è il Tempo della "Meditatio"...
(nella mia foto di oggi: fuochi d'artificio a Monte di Rovagnate)

martedì 16 dicembre 2008

I cinque sensi

E' incredibile come a volte taluni luoghi riescano a generare dentro di noi delle sensazioni che sembravano sopite ed invece in un attimo si rianimano, senza spiegazione logica. Credo che lo stesso effetto dato dai luoghi possa essere generato in generale da qualcosa legato ai cinque sensi. Pensiamoci un attimo: la stessa sensazione che ci viene data da un certo luogo (la vista) può esserci data da un profumo (l'olfatto), da una musica od una canzone (l'udito), da un particolare vino o cibo legato ad un momento particolare (il gusto) e infine da un contatto, un abbraccio, una stretta di mano (il tatto). Stasera mi sono trovato, mio malgrado, in un luogo in cui non passavo da tempo (e non a caso... per l'appunto) ed uno dei miei cinque sensi (la vista) è stato stimolato dalle immagini di quel luogo ed ha generato in me delle emozioni e sensazioni di un certo tipo, che erano racchiuse nel mio cuore. Il tempo è la giusta medicina, si dice, ed io stasera ho capito che ne ho bisogno ancora un pochetto. Tutto non ha una spiegazione logica, me ne rendo conto, e rappresenta quindi uno di quei "locus desperatus" di un utilizzo del raziocinio che non sempre riesce a spiegare tutto: ma questa è un altra storia, o meglio, mi son promesso di parlare di questo secondo "locus" nei prossimi giorni. Oggi ho però capito cosa non farò a Natale... O meglio, cosa non dovrei fare. Poi volere è potere... E' difficile spiegare le sensazioni con le parole, ma l'immagine è uno strumento che è maggiormente condivisibile: ed è la foto di stasera...
(nella foto di oggi di Stefano Anghileri: Lecco, Lungolario Isonzo)

domenica 14 dicembre 2008

Avere un paese


Stasera mentre ero in auto delle luci hanno catturato il mio sguardo. Ho notato in lontananza delle luminarie natalizie particolari: erano delle linee molto semplici, di tipo artigianale, e salivano come gradini verso la cima di una collinetta. Ho invertito la marcia e mi sono avvicinato, avendo capito che era la collina di Beolco, a Olgiate Molgora. Giunto di fronte alle luminarie mi si è presentato lo spettacolo che ho immortalato nella foto riportata qui sopra, che se non è un granchè dal punto di vista fotografico ha fermato l'emozione che avevo dentro di me. Una emozione atavica... In effetti quelle luminarie erano molto semplici, delle normalissime file di lampadine senza disegni particolari, alcune bianche, altre colorate, issate tra pali di legno o tra le case sulla sommità della collina. Mi hanno dato un senso di artigianale, di un qualcosa che non si assapora più se non nelle piccole località dei piccoli paesi: come Beolco per l'appunto. Sono quelle piccole località dove forse ancora oggi si riesce a vivere il senso del paese, in un mondo che tende sempre più a spersonalizzare ogni cosa. Rivivo un pò stasera quanto avevo già scritto nel mio post del 15 maggio 2008 dal titolo "Insegna tipica: "osteria". Rivivo le parole di un grande scrittore italiano, Cesare Pavese: "Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c'è qualcosa di tuo e che anche quando non ci sei resta ad aspettarti".
Forse quando scrivo queste cose un pò di nostalgia si fa viva dentro me. Ma è una nostalgia strana. Normalmente si ha nostalgia di qualcosa che si è vissuto: in questo caso ho nostalgia di qualcosa che non ho vissuto se non indirettamente, ascoltando parole d'altri od osservando i piccoli borghi nella nostra Brianza. E' la nostalgia dell'essere paese, qualche decennio fa...
(nella mia foto di oggi: Beolco di Olgiate Molgora, luminarie natalizie; dicembre 2008)

sabato 13 dicembre 2008

Locus amoenus e locus desperatus



La Vita è fatta di riferimenti, non vi è ombra di dubbio. Questi vengono quotidianamente utilizzati per misurare sentimenti, sensazioni o dati di rigore scientifico. Le unità di misura vengono computate mediante l'utilizzo di riferimenti, la nostra Vita ha bisogno di figure di riferimento, il nostro cuore ha bisogno di luoghi di riferimento.
Alcuni autori classici avevano individuato nel "locus amoenus" quell'elemento del paesaggio che rappresentava questo "luogo - non luogo" dove era possibile raggiungere la stabilità dell'Animo. Io nel mio piccolo, dato che sono molto legato alla mia Terra, mi sono ricavato un piccolo "locus amoenus" a Monte di Rovagnate, e nella foto qui sopra lo mostro nella versione invernale, vista la stagione. Credo che la collina dei cipressi sia un luogo unico e magico allo stesso tempo.
Un pò di storia. I cipressi vennero messi a dimora nel corso dell'Ottocento lungo tutti i confini della proprietà della Marchesa D'Adda Busca di Lomagna, che aveva fatto della cosidetta tenuta "Busca delle due Galbusere" (che sarebbero Galbusera Bianca e Galbusera Nera) la sua casa di campagna. I cipressi vennero piantati come sentinelle lungo i confini della tenuta (come quello fotografato nel post sull'inverno) ed una cerchia degli stessi venne messa a dimora sulla sommità della collina dei cipressi, che rappresentava in sostanza il "belvedere" della proprietà. Sicuramente, come ogni luogo elevato e con in vista il sole all'alba, tale collina venne utilizzata nella notte dei tempi per riti propiziatori. Neanche troppo tempo fa ho assistito ad un rito di "Beltane" (l'inizio della stagione luminosa per i celti, nella notte tra il 30 aprile e il 1° maggio) messo in scena (era il caso di dirlo) da dei giovani leghisti abbastanza imbranati che credo avessero cercato informazioni sul rito qua e là su internet. La scena fu bellissima. Io mi trovavo sul posto con una mia carissima amica esperta della materia che, nel suo stile, non seppe restare in silenzio facendo notare gli errori del rito. Non vi dico che figura fece colui che guidava il gruppo. Di Beltane più tranquilli ne ho fatti con questa mia amica al mio "locus amoenus", e credo che ci sia ancora la traccia di cera verde sui sassi.
Le parole spesso fuggono di mano, come in questa occasione. Stavo parlando della collina dei cipressi come mio "locus amoenus" e mi son perso in mille rivoli...
Tornando sul tema, per me questo luogo è una sorta di riferimento. Ci sono stato in ogni stagione ed in ogni ora del giorno e della notte, facendomi accarezzare il viso dalla brezza che corre sempre tra un cipresso e l'altro, sedendomi sul troncone di un cipresso tagliato alcuni anni fa ed ancora molto odoroso. Chissà quante altre persone hanno utilizzato questo luogo a questo scopo. Sarebbe bello un giorno, in una notte di luna piena, trovarci tutti (intendo coloro che hanno trovato nella collina dei cipressi quello che vi ho trovato io) sulla sommità di questo "locus amenus" a parlare liberamente: "liberi pensieri su libero suolo, libere emozioni liberamente vissute"... Oltre che del "locus amoenus" stasera volevo parlare anche del "locus desperatus" di filologica memoria, estendendolo alla razionalità dell'agire. Ma ritornerò sull'argomento nei prossimi giorni.
(nella mia foto di oggi: Monte di Rovagnate, la collina dei cipressi innevata)